L’agricoltura è la nuova frontiera della lotta al riscaldamento globale
L’obiettivo dell’Unione europea è chiaro: ridurre le emissioni del 55% rispetto al 1990 entro il 2030 e azzerarle entro il 2050. Il problema è come arrivarci. Tra le vie individuate da Bruxelles, il cosiddetto carbon farming. Si tratta di applicare tutte le pratiche utili a contrastare il cambiamento climatico “sequestrando” il carbonio nella biomassa vegetale, i cosiddetti pozzi naturali. L’agricoltura può dare una mano: non solo riducendo le emissioni che derivano dai processi, ma soprattutto sfruttando la naturale capacità del suolo di immagazzinare anidride carbonica e di utilizzarla come sostanza organica per migliorarne le caratteristiche, come la fertilità.
Le diverse opzioni: dalle cover crop al minimum tillage
Per favorire questo processo sono state messe a punto diverse tecniche: dalle cover crop (colture non destinate alla raccolta che hanno lo scopo di coprire il terreno durante i mesi invernali, come spiega il bene il professor Andrea Fiorini, docente presso la facoltà di Scienze agrarie dell’Università di Piacenza in un’intervista al sito Agronotizie) al minimum tillage: arare il terreno solo in superficie per evitare che la molecola intrappolata torni libera.
In questo modo, si stima, è possibile sequestrare dalle 2 alle 2,5 tonnellate di CO2 per ettaro, pari alle emissioni annuali di una piccola utilitaria che percorre circa 19mila chilometri. Gli agricoltori non sono contenti, nemmeno l’industria lo è: le tecniche determinano una perdita di resa dei terreni almeno per i primi anni, oltre a un oneroso investimento in macchinari. Da qui la necessità di incentivi.
L’Unione ci sta pensando: ma i problemi non mancano, su tutti c’è quello di come calcolare la CO2 catturata, che – nelle intenzioni – potrà essere convertita in crediti, da vendere alle aziende che vogliono mitigare l’impatto ambientale. Materia complicata, le frodi sono in agguato.
Quale strategia funziona meglio
Sintetizziamo. “Siamo in una fase in cui per creare il carbonio vendibile o scambiabile bisogna rivoluzionare il mondo di fare agricoltura, combinando maggior produzione e minori emissioni – commenta con Wired Antonio Brunori, segretario generale di Pefc Italia, organizzazione di certificazione per la gestione sostenibile delle foreste -. Le idee dei ricercatori sono molte: quello che manca ora è capire quali possano essere realizzabili dal punto di vista pratico e a livello socioeconomico”.
Per illustrare il dibattito in corso e quanto possano divergere le posizioni, Brunori fa un esempio. “Una foresta abbandonata a sé stessa assorbe la stessa quantità di anidride carbonica di quanto ne emette naturalmente quando arriva a maturazione”. Il conto, quindi, va in pari. “Ma con una “gestione attiva”, cioè garantendo contemporaneamente le funzioni ambientali, socio-economiche e culturali del bosco e quindi tenendo in equilibrio evoluzione del bosco, utilizzazioni boschive e difesa dagli incendi, si ottiene invece una sorta di ‘motore assorbente’ sempre attivo. Mi rendo conto, però, che è controintuitivo, e far passare il messaggio in chi ha posizioni più conservatrici non è facile”, prosegue l’esperto.
“La Commissione europea ha da poco emesso una comunicazione che traccia il quadro di un potenziale sistema di remunerazione del carbonio – aggiunge Lucia Perugini, senior scientific manager al Centro euro-mediterraneo per i cambiamenti climatici (Cmcc) -. Serve un sistema che sia robusto e che al contempo non ignori le complessità, e che in più non aggravi troppo il carico sugli agricoltori anche a livello di know how. Per la componente relativa al carbon farming, il processo dovrebbe concludersi entro l’anno”.
Come la tecnologia può aiutare il carbon farming
Anche la tecnologia può dare una mano. Attorno alla riduzione del carbonio comincia a crearsi un’economia di strumenti e servizi ad alto potenziale. Esistono già soluzioni che aiutano gli agricoltori a stimare la riduzione di CO2 ottenuta grazie al carbon farming. Un gruppo di lavoro formato da Confagricoltura, Crea, Università della Tuscia, Pefc Italia, Reteclima, Cmcc e Terrasystem, con il coordinamento di FederlegnoArredo sta, invece, elaborando proposte per creare un sistema informativo geospaziale dimostrativo ad alta risoluzione che identificherà il potenziale di mitigazione del settore agricolo e agroforestale. C-Farms– questo il nome del progetto Life che l’Unione ha finanziato per raggiungere questo scopo – ha diciotto mesi di tempo per presentare tutto a Bruxelles.
E per prevenire le frodi si pensa anche alla blockchain. “La CO2 non è solo un prodotto di scarto – dice Andrea Ronchi della startup italiana Fluidance, nato dalla joint venture fra le aziende CO2 Resource e Prosume – ma una materia prima fondamentale per alcune lavorazioni come quelle dell’industria alimentare o degli estintori”. Ma spesso quella impiegata da queste aziende proviene da giacimenti naturali interrati. “Non può essere definita sostenibile. Eppure – prosegue Ronchi – è possibile catturare abbastanza efficacemente quella emessa dalle lavorazioni degli impianti industriali e riutilizzarla”.
La soluzione, spiega il cofondatore Giacomo Beretta, può venire dalla blockchain, il registro distribuito e immodificabile in grado di garantire la correttezza delle transazioni. “Fluidance propone un sistema di certificazione in grado di assicurare che la CO2 utilizzata sia veramente green: a oggi, infatti, il mercato non riesce a distinguere cosa viene recuperato e cosa no. Ma ci sono soggetti che già catturano l’anidride carbonica da processi virtuosi, ed è giusto valorizzarli. Il futuro non è solo lo stoccaggio, ma anche il recupero – dice -. Trasformare la CO2 da scarto a risorsa significa dare un segnale al mondo industriale, che potrebbe essere incentivato a trovare utilizzi innovativi”.
Per esempio, quello, già allo studio, che prevede di iniettarla nel calcestruzzo. Il servizio, che in futuro sarà esteso anche a idrogeno, biometano e biometanolo, è basato su una piattaforma web. Il modello di business prevede una fee per ogni tonnellata certificata: l’attestato, spiegano i fondatori, potrà essere usato come leva di marketing in un mondo del consumo sempre più attento.
Antonio Piemontese
Fonte: www.wired.it